GrandeAle entra nel carcere di San Vittore - di Luisa Mondella



Condivido con infinito piacere un post di una cara amica.
Luisa.
Vi faccio un invito a non fermarvi dal leggere questo post guardando la lunghezza del testo,
perché questo articolo è un inno alla vita e alla speranza.
Leggetelo, fatelo vostro, immaginando questo viaggio all'interno del carcere di San Vittore a Milano al fianco di questa donna che ha fatto della sua più grande sofferenza la sua più grande forza.
Oggi leggendo i commenti che accompagnano questo capolavoro, mi è balzata agli occhi una frase: 
"Siamo nati nel bene e nel bene dobbiamo tornare."
Vedere la luce dove tutti vedono il buoi è una gran bella visione.
Non è facile, soprattutto con i tempi che corrono.
Non pensare che ciò possa accadere anche attraverso noi vorrebbe dire non avere speranza. 
Io preferisco vivere attraverso la luce di un pensiero che mi accompagna nelle azioni di un nuovo giorno. 
Grazie LU per questo bel regalo che mi hai fatto. J

Disegno di JPZ
GRANDEALE ENTRA NEL CARCERE DI SAN VITTORE 
Sabato primo dicembre 2018.
Questo pomeriggio ho portato Ale nel carcere di San Vittore o meglio lui ha portato me lì, per lasciare il suo messaggio d’Amore a tutti.
All'evento della nostra Fondazione del 17 novembre scorso era presente, su invito di una cara amica, il Comandante della polizia penitenziaria del carcere di San Vittore, una donna di qualche anno più giovane di me, bella, simpatica e di grande spessore umano.
Il Comandante sentendomi parlare durante l’evento si era emozionata ed innamorata immediatamente della storia di Ale.
Quindi, mi ha chiamata dicendomi, dopo l’evento, che avrebbe avuto piacere di fare una raccolta di fondi all'interno del carcere tra gli agenti a favore della GrandeAle.
Io mentre mi parlava, ho pensato subito che fosse un segno e che tramite questa stupenda persona, si sarebbe potuto fare di più.
Le ho chiesto, così, se fosse possibile entrare nel carcere per parlare dell’Amore di Ale nel periodo di Natale.
Lei è rimasta sorpresa, ma entusiasta e ne ha parlato con il personale interno e con il suo direttore.
In carcere, mi ha riferito, “convivono” circa 3000 persone (600 sono agenti, 1000 circa sono i detenuti, gli altri sono operatori sanitari, volontari e altri). Quindi, diciamo un bel pezzo di mondo a cui portare Ale.
Le ho fatto fare, su sua richiesta, solo per il carcere cento braccialetti della nostra collezione di Natale l’”Amore infinito tra le stelle”.
Questa mattina, mi ha chiamato e mi ha chiesto se potessi portarglieli in carcere, perché si trovava lì a lavorare.
Non sapevo cosa mi aspettasse di preciso, ma sono andata.
Sono arrivata in macchina ed ero molto emozionata e agitata, sentivo la responsabilità di ciò che stavo andando a fare.
Lei mi è venuta incontro e siamo entrate insieme.
Mi ha presentata, con estrema gentilezza, man mano che li incontravamo, molti degli agenti presenti.
Siamo state prima nel suo ufficio, con il cappellano e quella che credo sia la sua vice (Lucia).
Ci sarà una messa il 17 dicembre in carcere  per il personale a cui mi ha chiesto di partecipare per dire due parole su Ale e su quello che ci ha lasciato. Ne sono molto felice.
Ho cominciato a parlare di Ale e mi sono accorta quanto le mie parole commuovessero gli ascoltatori.
Il Comandante mi ha, quindi, raccontato sinteticamente la realtà del carcere. San Vittore per molti detenuti è un carcere di passaggio, perché alcune persone sono in attesa di giudizio.
Mi ha colpito sentire parlare del fatto che si fossero verificati nel tempo alcuni suicidi, soprattutto tra i giovani.
Mentre parlava si è interrotta e mi ha detto:
“Tu qui puoi portare speranza.”
Io le ho risposto: “Sì, ma non io, Ale”.
Dal suo ufficio siamo, poi, andate nel reparto femminile. A pensarci ora mi vengono i brividi, ma in quel momento mi sentivo a mio agio, rilassata e quasi felice di accogliere in me un mondo che non conoscevo.
Il reparto femminile è distribuito su tre piani. Ci sono un centinaio di donne.
Sono entrata nelle celle con lei.
Piccole, per tre persone, con a lato del dormitorio un piccolo cucinino con wc e lavandino, tutto collocato nello stesso spazio.
Sembra che le celle delle donne siano più confortevoli di quelle degli uomini.
Loro mi è parso mi vedessero come un miraggio.
Nessuno, oltre gli operatori, le può andare a trovare nelle celle.
A volte mi sono inginocchiata ai piedi dei letti di giovani mamme disperate.
Tante hanno tra i 20 e i 30 anni, hanno figli piccoli, piangono.
Alcune sono lì per reati commessi con mariti, fidanzati, compagni: droga, spaccio, rapine, maltrattamenti.
Mi guardavano come per chiedere ed io portavo il mio sorriso e le mie parole.
No, non le mie, quelle di Ale.
Ho parlato di speranza, di coraggio nell'affrontare tutto.
Ho detto che il futuro era nelle loro mani, che gli sbagli possono essere cancellati.
Mi hanno abbracciata, alcune mi dicevano quanto ero bella, altre amavano il mio profumo.
Una parola per ogni persona, il sorriso per tutti.
Ho avuto modo di visitare anche il laboratorio sartoriale in cui alcune detenute lavorano realizzando abiti, borse e altri oggetti molto carini (una borsa di tessuto mi è stata regalata da una detenuta).
Successivamente, siamo andate sempre con il Comandante nella cappella dove un gruppo di detenute stava finendo con la suora il rosario, l’ultima decina. Abbiamo pregato insieme.
L’ultima decina erano le intenzioni per le loro famiglie e per loro.
È stato un momento di incredibile levatura, io mi sono messa in ginocchio in mezzo a loro che erano sedute sulle panchine. Tante mi tenevano le mani. Il Comandante sempre al mio fianco.
Ragazze giovani piangevano singhiozzando.
Una donna sfigurata dall'acido dal compagno, poi, sotto l’effetto della droga costretta a rapinare, mi mostrava le sue profonde ferite corporali che non scomponevano la sua bellezza.
Conosco ora storie che mi sono entrate sotto la pelle.
Ho visto la Luce dentro il buio.
È stato pazzesco.
Uscita da lì, mi aspettava un gruppo di ispettori (forse il grado non è corretto) una dozzina, intorno ad un tavolo.
A loro, il Comandante mi ha chiesto di spiegare il motivo della raccolta dei fondi e chi fossi io.
Dopo il mio discorso su Ale sono rimasti di marmo, il Comandante mi ha confidato, poi, che non li ha mai visti così provati.
Due cose, tra le tante, ricordo di aver detto stupendomi da sola.
Ale mi ha insegnato che in ogni persona c’è il Bene, nonostante il pesante lavoro che fate, cercate di trovare questo bene nelle persone che sono qui dentro.
La seconda: cerchiamo di apprezzare la nostra giornata e il nostro quotidiano per come viene, godendo di quello che abbiamo, invece, di preoccuparci di quello che ci manca.
Mi hanno applaudita e questa volta piangevo io.
Di seguito, è venuto il momento più forte: il reparto maschile.
Ci sono più raggi: gli uomini sono tanti e di tutti i tipi.
Ero vestita in modo molto sobrio, di nero.
I detenuti maschi parlano meno, sono liberi nei raggi (circa 80 uomini con un agente).
La cosa non mi ha scossa .
Io e il Comandante avanzavamo come in marcia in uno dei raggi.
Ho visto le loro celle: l’odore è forte, il  senso di oppressione indescrivibile.
Io sorridevo a tutti, salutavo con un cenno del capo e loro ricambiavano.
Erano curiosi, ma non invadenti, forse lo erano state più le donne.
Ad un certo punto ci siamo fermate in mezzo ad un gruppo di loro: l’agente di polizia penitenziaria ci seguiva come un’ombra alle spalle.
Il Comandante gentile chiedeva come stessero. Le risposte erano disarmanti, ma io ad un certo punto, non so come, ho detto a chi mi ascoltava: “in questo momento dovete concentrarvi non su quello che avete fatto, ma su quello che potete ancora fare di buono. Ciascuno di noi, anche se non vi sembra, ha il destino tra le sue mani.
Voi potete cambiare la vostra vita in meglio. Voi potete mutare il vostro futuro. Non abbandonate la speranza di tornare presto in libertà come uomini nuovi che hanno capito come è giusto comportarsi.”
Non so spiegare tutto, ma credo che oggi Ale abbia fatto il suo miracolo più bello.
Sono uscita di lì abbracciando un’agente commossa perché toccata dalla mia croce.
Ho creduto di portare un dono, il vero dono l’ho ricevuto all'interno delle mura di un luogo di grande sofferenza.
Dopo che ci siamo salutate, il Comandante mi ha scritto: “Sei stata meravigliosa. Oggi hai dato un senso alla nostra giornata e regalato un sorriso alle detenute. Sei arrivata al cuore di tutti. Grazie. Grazie a nome mio e da parte di tutte le persone che oggi hanno avuto la fortuna di incontrarti. Sei speciale. A presto. Un grosso abbraccio.”
Ed io ho risposto: “Cara, sei tu che sei stupenda per tutto quello che fai. Ti ringrazio infinitamente per l’opportunità che mi hai dato di portare l’Amore di Ale a chi ne ha bisogno. È stata un’esperienza unica che mi ha arricchito tanto. Sento che insieme possiamo fare tanto Bene. Grazie ancora per avermi accolto nel tuo mondo che ora porto nel mio cuore. Un forte abbraccio ed a presto.”

Di Luisa Mondella

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